Chiuse la porta. Sfinita.

Più nell’animo che nel corpo, anche se la stanchezza le era piombata su gambe e braccia, su schiena e collo come se le avessero caricato d’improvviso sulle spalle uno zaino pieno di pietre. Avanzò nella semioscurità. Ugualmente riuscì a cogliere il fasto della stanza, che la proprietaria svedese di quello strano riad nella Medina di Marrakech le aveva assegnato: una grande nicchia lobata e ricoperta di zellige colorate faceva da testiera al letto matrimoniale, vestito con fini lini rosati e ricamati; la circondavano pavimenti in pietra e mosaico, su cui giacevano grandi pouf in pelle fucsia. A lato del letto, una sedia tripolina; lanterne traforate alle pareti e a terra.

Si intitolava Love Nest, quella stanza, e nella mente della svedese sarebbe stato il luogo perfetto per perdersi in sogni esotici (ed erotici). Un grande manifesto del film Mourir d’Amour con Paul Guers e Nadia Gray – languide figure tra ombre voluttuose – prendeva per mano l’immaginazione.

Ma lei dell’esotismo romantico di Marrakech non ne poteva più.

Quello era l’ultimo giorno di una settimana di lavoro spesa a inseguire quello che le era sfuggito continuamente, come una lepre nell’erba alta. Doveva fotografare la città antica, coglierne lo spirito intramontabile e imperiale, tra deserto e montagne. La città rossa, cuore caldo e pulsante del Marocco da cartolina.

Ma più aveva stretto il pugno, meno le era rimasto.

Nella piazza Jamaa-el-Fnaa, al calare della sera, quando venditori d’acqua e incantatori di serpenti accorrevano per i turisti, non aveva potuto evitare di guardare i bambini – sei, dieci anni – che correvano tra i tavoli e le bancarelle raccogliendo gli avanzi di cibo, annusando fazzoletti molto probabilmente imbevuti di colla o benzina. E nel suk, quando i commercianti, come mosche impazzite, l’avevano assalita petulanti, instancabili, fino a costringerla alla fuga. Poche foto, rari i colori e le forme che aveva catturato tra le corti e gli anditi del labirinto. Una donna sola, con macchine fotografiche costose, non poteva passare indenne attraverso quelle forche caudine.

Poi l’ultimo episodio, la sera, prima di raggiungere il riad della svedese. L’edificio era a nord della città vecchia, fuori dai circuiti turistici, e per arrivarvi aveva dovuto avventurarsi in un reticolo di vicoli senza nome, tra case diroccate, arcate e passaggi, stalle e cortili. Un senso di smarrimento le si era appiccicato addosso ed era esploso quando, davanti a una moschea, una piccola folla di mendicanti l’aveva quasi assalita, notando le macchine fotografiche. La supplicavano, le tiravano gli abiti, i bambini vociavano davanti e dietro di lei, fino a che qualcuno aveva strattonato la borsa talmente forte da farle perdere l’equilibrio.

La porta dietro alle sue spalle si era richiusa appena in tempo.

Si era sentita violata, li aveva a sua volta aggrediti a male parole, per difendersi. Non era da lei. La proprietaria la accolse quasi sorpresa, e quando le raccontò l’episodio, parve non farci caso. Normale, se si gira così, da sprovveduti – aveva fatto capire. Dentro lì c’era l’altro mondo, quella città nascosta che gli occidentali amavano, fatta di spazi privati, confortevoli, impudicamente lussuosi. Un passaggio in un’altra dimensione.

Nella penombra della camera si trovò sola, a fronteggiare la sua delusione.

Il taxi per l’aeroporto era prenotato per le cinque del mattino: chissà se sarebbe mai arrivato per tempo, in quella via senza nome e senza numero.

Si spogliò, si gettò sul letto e tentò di dormire. A lato del comodino lo scuro interno della finestra, rosso e dipinto con rami di fiori e figure di uccelli colorati, attirò la sua attenzione.

Si alzò e lo aprì. La finestra era alta e stretta, ritagliava un rettangolo di cielo, senza null’altro davanti. Il mare di tetti e cubicoli si estendeva poco sotto, ormai pacificato.

E fu lì che lo vide.

Nel cielo nero, denso come un magma e pesante come un velluto, spiccava bianco e pacifico un quarto di luna. Palpitava nel buio, quasi vivo.

Latte e acqua, gardenia e zucchero, carta e cristallo.

Rimase a guardarlo nel silenzio. Solo, fiero, distante.

Il cielo d’Africa, la notte.

Respirò a fondo quel miracolo silente, finalmente grata.

03 – Scatoletta triangolare in ottone con decori impressi sul coperchio. Marocco